Friday 8 november 2013 5 08 /11 /Nov /2013 12:29

http://www.rinascita.eu/mktumb640a.php?image=1365094076.jpgTenere sotto controllo il livello dell’inflazione è il compito “istituzionale” della Banca centrale europea. E Mario Draghi lo ha fatto proprio una volta issato alla guida dell’istituto di Francoforte. Nell’Eurozona l’inflazione si è attestata in settembre all’1,1%, in Italia al 9%, e questo ha suggerito a Draghi e ai suoi che fosse il caso di tagliare ancora i tassi di interesse per aiutare la crescita economica. La Bce ha così tagliato il tasso di riferimento dallo 0,50% allo 0,25%. Si tratta del secondo taglio del 2013 dopo quello di maggio, sempre dello 0,25%. Draghi, nella tradizionale conferenza stampa, ha assicurato che i tassi resteranno stabili a lungo e che anzi essi potrebbero calare ancora. E pazienza se alla bassa inflazione, che ormai è deflazione a tutti gli effetti, si accompagna una crescita economica negativa. Segnali di una ripresa, ha affermato Draghi, ribadendo quanto già ci anticipano tutti gli “esperti”, dovrebbero aversi in questo ultimo trimestre dell’anno, sia pure a livelli non così alti da certificare che il peggio sia passato. Resta quindi per l’ex vicepresidente di Goldman Sachs Europa la possibilità di usare ancora quelle misure “adeguate” e “non convenzionali” per sostenere l’area dell’Euro. Il presidente della Bce ha in altre parole anticipato che potrebbero essere varati nuovi sostegni alle banche. I mille miliardi versati alle banche europee a cavallo tra il 2011 e il 2012 non sono stati quindi reputati sufficienti. Non è bastato che fossero elargiti su base triennale e al modico tasso dell’1%. Non è bastato, perché a Francoforte continua a guidare le danze una concezione tecnocratica in nome della quale è l’Alta Finanza a guidare i giochi e l’economia “reale” deve adeguarsi e seguire. Non è bastato a Draghi che quei soldi fossero stati finalizzati ad aiutare le piccole e medie imprese e le famiglie. Le banche, specie quelle italiane, si sono guardate bene dal farlo ma anzi hanno praticato una feroce stretta creditizia che non ha toccato però la grande industria, vedi la Fiat peraltro in procinto di abbandonare l’Italia, legata a filo doppio alle banche da rapporti credito-debito e da ferrei incroci azionari. Eppure Draghi se ne frega e continua nella sua opera che è perfettamente in sintonia con la linea del rigore tedesco della Merkel. Le “sue” banche con quei soldi hanno comprato titoli di Stato. E se questo è servito a calmierare lo spread tra Btp e Bonos da una parte e Bund tedeschi dall’altra, ha però inflitto un ulteriore e pesantissimo colpo allo stato dell’economia europea. In una fase come quella che stiamo vivendo, il calo del livello dei prezzi, la deflazione, sta avendo effetti devastanti perché accentua il peggioramento dell’economia nel suo complesso. La deflazione è infatti il primo nemico di una crescita economica perché fa venire meno la propensione di imprese e di privati verso investimenti produttivi. Al contrario vengono privilegiati quelli finanziari, ritenuti più sicuri, come i titoli di Stato. La vanagloria di Draghi sul controllo dell’inflazione è ridicolizzata da una economia europea che, tranne il caso della Germania, è di fatto ferma. Questo può rallegrare l’ex Goldman Sachs che auspica di essere ricordato come il salvatore dell’euro ma non può e non deve fare dimenticare che sono state le gestioni demenziali della Bce, la sua e le precedenti, a peggiorare la situazione economica e a comportare un trasferimento di ricchezza “reale” dai cittadini a favore del mondo finanziario e bancario e a diffondere di conseguenza la povertà nel ceto medio. Draghi ha quindi concluso la sua tirata invitando i Paesi membri dell’Euro a ridurre il disavanzo pubblico e a rendere sempre più precario e flessibile il mercato del lavoro. Alla fine, sempre lì si finisce. Con il lavoro ridotto a merce.

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